Faccio parte della schiera di appassionati del mitico rally “Parigi-Dakar” e la recente morte di Hubert Auriol, (il primo leggendario pilota di auto e di moto che vinse la maratona africana), in concomitanza con la gara che si sta ora correndo in Arabia Saudita, mi assale di ricordi.

Ci sono immagini che sono fissate per l’eternità perchè si accordano con la mia storia, i miei sogni, con le mie aspirazioni e una certa idea di viaggio.

Marina 1985

Le rudi condizioni di vita del deserto hanno accolto e plasmato la mia indole curiosa, di luoghi e civiltà, attraverso i grandi erg dalle dune mobili che lasciano senza fiato e le ricchezze archeologiche che non finiscono mai di appassionare.

Partire. Non importa dove, né come, l’importante è imboccare una strada che inevitabilmente trasforma.

Era l’anno 1985 quando, a 21 anni, salivo anch’io a cavallo di un “Morini 350-Sport” per compiere la traversata del Sahara, completamente auto-organizzata ed in compagnia solo del mio attuale marito.

la prima sabbia

Dopo mesi di allenamento, lungo i greti dei fiumi di casa, finalmente avremmo sfrecciato su dune di sabbia e sperimentato l’incubo della “tòle ondulèe” delle piste, inseguendo quell’infinita linea dell’orizzonte nel deserto che sempre si sottrae.

Kerouac, Saint-Exupeèry, Terzani, Kapuscinski e Bonatti facevano capolino con una girandola di pensieri e le immagini dei sogni finalmente prendevano forma.

Iniziarono i preparativi della moto e dei documenti necessari per il viaggio:

con l’aiuto della saldatrice costruimmo i supporti per il trasporto delle taniche che ci avrebbero garantito il rifornimento di benzina necessario per il tragitto tra un’oasi e l’altra; studiammo la suddivisione del peso dell’acqua, degli attrezzi e selezionammo accuratamente il carico: abiti essenziali, tenda, sacco a pelo, fornelletto del gas, qualche busta di cibo liofilizzato e poco altro.

oasi

Nonostante l’inesperienza, il vero carburante fu l’entusiasmo di partire, accentuato dalla baldanzosa incoscienza giovanile che sopperiva ad ansie e risicati risparmi.

Le carte di credito erano ancora un miraggio e per portare appresso il denaro senza la paura di perderlo o essere derubati usammo i traveler’s cheque, particolari assegni dell’epoca.

Per lo studio dell’itinerario consultammo guide, mappe e libri, unico materiale disponibile da cui trarre indicazioni ed ispirazione: internet doveva ancora arrivare!

Anche i cellulari non esistevano e la macchina fotografica era ovviamente analogica; stecca bussola e goniometro, insieme a mappe topografiche, furono gli strumenti fondamentali che permisero di orientarci, senza altri punti di riferimento durante il giorno.

In una fredda e piovosa giornata di novembre, al termine dei mesi più caldi e secchi del Sahara, partimmo dal Friuli ed in due giorni raggiungemmo Marsiglia, per imbarcarci con destinazione Algeri. Tamanrasset, ultima oasi prima del confine con il Niger, ci stava aspettando.

bivio Djanet / Tamanrasset

Nel complesso montuoso del Tassili, nel sud dell’Algeria, cuore del deserto, ci attendeva anche una meta di grande spettacolarità: il celebre eremo di padre Charles de Foucauld a 2500 m. di altezza, attorniato da guglie vulcaniche e faraglioni di arenarie che costituiscono l’Hoggar.

Hoggar (Ahaggar)

Nel deserto algerino non esiste una pista tipo, può essere di sassi o di sabbia, e capita di correre attraverso gli “chott” o le dune, gli “oued” o i “ djebel”, sui grandi “reg” o sugli “hammada”; la segnaletica prevalentemente è fatta da mucchi di pietre a forma di piramide, da bidoni vuoti o paletti piantati ad intervalli regolari, da un cordone più o meno continuo di pietre o sabbia, con frequenza tra i 100 m. o i 5 km.

esempio di “toule ondule”

E’ consigliabile viaggiare sempre fuori dalle tracce lasciate da altri veicoli, per non insabbiarsi, e sapere che la sabbia è più solida durante le prime ore del mattino e d’inverno.

Nelle zone di fesh-fesh (temuto miscuglio di sabbia ed argilla) bisogna innestare una marcia bassa al massimo regime e sgonfiare gli pneumatici alla pressione minima.

L’andatura fu particolarmente lenta e non fu banale viaggiare in due su una moto da strada nel deserto, con inevitabili cadute, ma la caparbietà di raggiungere luoghi sconosciuti e leggendari predominò.

Monte Tahat 2.908 m – l’autoscatto era meccanico…..

Nel percorso di ritorno si materializzò una temuta tempesta di sabbia che ci fece consumare più carburante del previsto bloccandoci inermi tra la sabbia. Tutto avrebbe potuto finire…

La fortuna volle che incontrammo un partecipante dello storico rally di Algeria in moto “Puch” che fermò la sua corsa e ci regalò qualche litro di benzina. Non seppi mai chi fosse, ma apparve come un angelo salvatore.

In seguito anche gli ammortizzatori si ruppero e le nostre povere schiene sopportarono due sbarre di ferro suppletive fino a casa, per più di 2000 Km., ma la nostra personale spedizione era stata compiuta!

La regola è che nel Sahara non esiste nulla di assolutamente certo e spesso ad eventuali domande interrogative, il più delle volte si riceve in risposta “Inshallah” (se Dio vuole).

Fu un viaggio davvero emozionante ed istruttivo, che segnò la traccia delle mie future scelte.

La tradizionale ospitalità dei nomadi e l’incontro con diverse tribù tuareg mise un seme che negli anni successivi fruttificò a lungo con viaggi sempre meglio preparati.

Il confine era ormai varcato!

dalle parti di Arak

Il “Mal d’Africa” colpì duro e solo le tristi vicende storiche destabilizzatrici, che avrebbero potuto mettere a repentaglio la nostra vita, ci fecero desistere a frequentare questo Continente.

Ogni epoca ha le sue difficoltà quando si decide di mettersi in viaggio, esattamente come per il grande viaggio della Vita, ma la forza della nostra mente è l’ingrediente fondamentale che ne permette la realizzazione, quando riesce a contrastare il pensiero che boicotta i progetti, fomenta le paure, crea dei limiti ed immobilizza nella quotidiana “confort-zone”.

Tuttavia, la forza della nostra mente è l’ingrediente fondamentale che permette di realizzare i nostri desideri.

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My first motorbike trip to Sahara desert

I am a fan of the legendary “Paris-Dakar” rally and the recent death of Hubert Auriol, (the first legendary car and motorbike driver to win the African marathon), at the same time as the race is now being run in Saudi Arabia, assails me with memories.

There are images that are fixed for eternity because they match my history, my dreams, my aspirations and a peculiar idea of travel.

The harsh conditions of life in the desert have welcomed and shaped my curious nature, of places and civilisations, through the great ergs with their moving dunes that leave one breathless and the archaeological richness that never cease to fascinate.

Leave. It doesn’t matter where or how, the important thing is to set off a path that inevitably transforms you.

It was 1985 when, at the age of 21, I climbed on the ‘Morini 350-Sport’ motorbike too to make the crossing of the Sahara, completely self-organised and in accompanied by my current husband only.

After months of training, along the banks of the rivers at home, we would finally speed over sand dunes and experience the nightmare of the “tòle ondulèe” of the tracks, chasing that infinite line of the horizon in the desert that always subtracts and that I had watched so many times on television.

Kerouac, Saint-Exupeèry, Terzani, Kapuscinski and Bonatti peeped out with a whirlwind of thoughts and the images of dreams finally took shape.

The preparation of the motorbike and the necessary documents for the trip began:

with the help of the welding machine we built the supports to transport the jerrycans that would guarantee us the necessary petrol supply for the journey from one oasis to another. Then, we studied the division of the weight of the water, the tools and carefully selected the load: essential clothing, tent, sleeping bag, gas stove, a few bags of freeze-dried food and little else.

Despite our inexperience, the real fuel was our enthusiasm for setting off, enhanced by the bold recklessness of youth, which made up for the anxieties and meagre savings.

Credit cards were still a mirage and in order to carry money with us without fear of losing it or being robbed, we used traveller’s cheques, special cheques of the time.

We consulted guides, maps and books to plan the itinerary as this was the only source available from which we could draw directions and inspiration: the internet was yet to arrive!

Even mobile phones did not exist and the camera was obviously analog; stick and protractor, together with topographical maps, were the fundamental tools that allowed us to get our bearings, with no other points of reference during the day.

On a cold and rainy November day, at the end of the hottest and driest months in the Sahara, we left Friuli and it took two days to reach Marseille, to embark for Algiers. Tamanrasset, the last oasis before the border with Niger, was waiting for us.

In the Tassili mountain range, in the south of Algeria, the heart of the desert, a spectacular destination awaited us: the famous hermitage of Father Charles de Foucauld at an altitude of 2500 m., surrounded by volcanic peaks and sandstone stacks that make up the Hoggar.

In the Algerian desert there was no standard track: it could be made of stones or sand, and it happened to run across the “chott” or the dunes, the “oued” or the “djebel”, on the large “reg” or on the “hammada”; the signposts mainly consisted of pyramid-shaped piles of stones, of empty bins or stakes planted at regular intervals, of a more or less continuous cordon of stones or sand, with a frequency of 100 m or 5 km.

It is advisable to always travel away from the tracks left by other vehicles, so as not to get stuck in the sand, and to be aware that during the early hours of the morning and in winter, the sand is firmer.

In areas of fesh-fesh (the dreaded mixture of sand and clay) you should engage a low gear at maximum speed and deflate the tyres to minimum pressure.

The pace was particularly slow and it was no trivial matter two people riding a road bike in the desert, with inevitable falls, but the stubbornness to reach unknown and legendary places prevailed.

On the way back, the dreaded sandstorm materialised and we consumed more fuel than expected, stranding us helplessly in the sand. Everything could have ended…

As luck would have it, we came across a motorbike participant to the historic Algerian rally with “Puch” bike who stopped his race and gave us a few litres of petrol. I never knew who he was, but he appeared like a saving angel.

Later the shock absorbers also broke and our poor backs had to endure two additional iron bars all the way home, over 2000 km, but our personal expedition had been accomplished!

The rule is that in the Sahara nothing is absolutely certain, and if you ask a question, most of the time you get “Inshallah” (God willing) as an answer.

It was a very exciting and instructive trip, which set the course for my future choices.

The traditional hospitality of the nomads and the encounter with several Tuareg tribes sowed a seed that bore fruit over the next few years with better and better prepared trips.

The border had been crossed!

The “Sickness of Africa” was hard and only the sad, destabilising historical events, which could have jeopardised our lives, made us desist from visiting this continent.

Every era has its difficulties when deciding to set out on a journey, just like the great journey of life when it manages to counteract the thought that boycotts projects, foments fears, creates limits and immobilises in the daily “comfort zone”.

However, the strength of our mind is the fundamental ingredient that allows it to be realised.

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(Translated by Marta De Rosa)